Tutte le persone che hanno avuto bisogno di mettersi a dieta lo sanno: se l’atto del mangiare fosse solo legato ad immagazzinare le energie per la sopravvivenza, perdere peso quando occorre sarebbe semplice e di nessuna fatica.
In realtà così non è, rinunciare ad assaggiare dolci o deliziosi primi richiede un grande impegno e le persone che seguono un regime alimentare ristretto si sentono frustrate.
Effettivamente dopo una lunga giornata di lavoro per ricompensarci ci beviamo un aperitivo, o ci facciamo una fetta di torta; quando siamo annoiati davanti alla tv sgranocchiamo qualche snack: il cibo ha per noi valenze molto più articolate del semplice nutrirsi.
Questi comportamenti li abbiamo tutti, se ciò rimane circostanziato a determinati momenti non influisce sulla nostra vita, quando invece l’alimentazione si slega dallo stimolo della fame e si lega prevalentemente ad altri bisogni, che nulla hanno a che fare con la tavola, si può cadere un pericoloso circolo vizioso che lede mente e corpo.
Il cibo da sempre è legato per gli esseri umani alla condivisione, al festeggiamento, alla celebrazione di un momento felice.
Studi hanno dimostrato che ciò che introduciamo nel corpo per alimentarci interagisce col nostro sistema nervoso.
I cibi grassi abbassano il livello di cortisolo che è l’ormone legato allo stress, i dolci interagiscono con le endorfine legate a sensazioni di benessere, i cibi croccanti danno la sensazione di liberare aggressività attraverso la masticazione.
Il cioccolato ad esempio è considerato da molti un comfort food: cioè un alimento a cui si ricorre per consolarsi da stati emotivi spiacevoli.
Quello che ci spinge a mangiare senza averne bisogno è la fame nervosa, ci alimentiamo per rispondere a stati emotivi interni spesso non riconosciuti e non affrontabili.
Quindi rabbia, ansia, tristezza, solitudine vengono affrontate e ovattate col cibo, questo diventa un sostituto della gioia e del piacere sempre a disposizione e immediatamente rassicurante. Ovviamente se tali comportamenti sono protratti nel tempo si aumenta di peso, a volte anche in maniera considerevole, si abbassa l’autostima e aumenta l’isolamento sociale perché ci si vergogna del proprio corpo.
L’elemento che contraddistingue la fame nervosa è che chi mangia lo fa col pilota automatico, in uno stato che non è pienamente cosciente, tanto che si arriva a mischiare dolce e salato senza sentire propriamente il gusto di ciò che si ingerisce; a questo segue il senso di colpa e vergogna; le abbuffate vengono compiute quasi sempre in solitudine perché c’è molto timore del giudizio. Ci si sente affranti e colpevoli, impotenti e senza speranza di poterla aver vinta su tale meccanismo percepito come una debolezza.
Ciò che ho appena descritto è un desiderio irrefrenabile di cibo (in Inglese craving), a cui spesso si pensa tutto il giorno, impulso non posticipabile. Quando ci rendiamo conto che ciò sta accadendo proprio a noi è il momento di fermarsi e riflettere, qualcosa non è più in equilibrio dentro di noi e nella nostra vita.
È sicuramente importante rivolgersi ad un nutrizionista o dietista per avere informazioni sulla scelta e qualità dei cibi ma a questo punto bisogna fare un passo in più: consultare uno psicologo che possa aiutare a capire perché e quando si mangia.
Quali situazioni, quali persone, quali emozioni entrano in gioco nel momento in cui si è guidati dal pilota automatico che porta verso il frigorifero.
In alcuni casi dietro ci sono sofferenze antiche mai sanate, e l’individuo pur di non affrontarle utilizza l’apporto calorico come soluzione, ma ovviamente questo non risolve ma reitera la sofferenza senza offrire nessuna alternativa.
I mangiatori emotivi a volte non ne sono consapevoli e danno la colpa delle loro difficoltà a dimagrire al metabolismo sperando che una pillola li aiuterà a risolvere il problema.
Nella realtà sono persone che temono l’emotività, non sono in grado di distinguere ciò che sentono in maniera chiara, le emozioni vengono divise in buone e cattive. La tristezza invece ci manda un messaggio, come l’insoddisfazione e se ascoltate tali sensazioni possono farci rendere conto che non siamo sereni e perché. Prenderne atto è il primo passo per trovare soluzioni diverse e ridare speranza alle nostre vite.
Tenere un diario alimentare non tanto sulle calorie e peso degli alimenti ma proprio sul momento della giornata in cui arriva l’impulso a mangiare, che pensiero c’era in quel momento, che sensazione si sente nel corpo, e se si riesce che emozione si prova, è un ottimo inizio per affrontare la situazione.
Quello che viene annotato va poi discusso con un professionista della salute mentale che possa guidare a comprendere i meccanismi sottesi al pilota automatico, e ad analizzare le emozioni che restano indigeste nel nostro corpo, a come smaltirle.
Se anni fa è stato scelto il cibo come unica soluzione al malessere è probabile che in quel momento lo fosse davvero, per esempio infanzia o adolescenza, ma diventando adulti le possibilità di decidere della propria vita ovviamente aumentano e si possono trovare vie d’uscita nuove a problemi antichi.
Articolo a cura della dottoressa
Alessandra Zomparelli
Psicologa e Psicoterapeuta a Brescia
Dott.ssa Alessandra Zomparelli
Psicologa e Psicoterapeuta a Brescia
Iscritta all’Albo Professionale degli Psicologi della regione Lombardia n. 5620 dal 17/05/2000
Laurea in Psicologia Clinica
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